lunedì 20 febbraio 2012

Lezione 7 - Quando è bene fermarsi

E' vero: in realtà avevo già accennato a qualcosa di simile, qualche lezione fa. Ciononostante, credo sia meglio dedicare un piccolo articolo all'argomento; primo, perché dopo tante lezioni grammaticali serve un po' di respiro, e secondo perché ho notato che molti neo-scrittori (io compresa), tendono a correggere all'infinito i propri scritti. E, mentre si incappa in questo errore, solitamente, non ci si rende nemmeno conto di sbagliare: cosa ci sarà mai di male a correggere degli errori?
Ebbene, la risposta è tanto. Sì, è tanto male correggere troppo. La correzione è infima: mentre la si attua, si pensa di star facendo qualcosa di utile, e invece no! Non si dovrebbe farlo! O, almeno, si dovrebbe, ma nei limiti. Altrimenti, mentre si pensa di fare qualcosa di utile si stravolge tutto il lavoro, lo si cambia, e inoltre si perde un sacco di tempo. Questo perché, mentre si riscrive, spesso vengono altre idee, ma attuare altre idee significa quasi sempre cambiare buona parte del libro, dimenticare nuovi errori qua e là, che dovranno poi essere ricorretti in una nuova stesura. Parlando in cifre? Anche se siete velocissimi a scrivere e il vostro lavoro è abbastanza ridotto... qualche settimana ve la mangiate. Moltiplicate "qualche settimana" per il numero di stesure che fate, e trovate quanto tempo perdete. Ed è tanto, ve lo assicuro, sempre tenendo conto che questa è l'ipotesi migliore.
Quindi, che fare per evitare questo circolo vizioso? E' semplice: correggere poco. Personalmente mi oriento bene sulle due o tre stesure, ma non di più, altrimenti si spende davvero troppo tempo.
Ora, guardiamo le stesure nello specifico: cosa bisogna fare ad ogni tappa?


  1. Prima stesura: scrittura di getto. Dopo aver fatto almeno un programma di ciò che volete scrivere, attuatelo. Non ricontrollate, però, subito dopo aver scritto, se non superficialmente, per correggere gli errori di grammatica. Lasciate lì il tutto. Ci ritornerete sopra più avanti, quando potrete accorgervi degli errori più gravi.
  2. Seconda stesura: riscrittura. Può essere completa o parziale, di quei passaggi che, a rileggerli, non vi convincono o dove volete aggiungere qualcosa.
  3. Terza stesura: correzione mirata. E con questo si intende solo errori di grammatica, per quanto possibile. E' come una correzione formale, non di contenuto. Pertanto evitate di aggiungere, o modificare di senso alcune parti, altrimenti dovrete ritornare al punto 2, e inizia il circolo vizioso di cui parlavamo prima. 

Ovvio, nessuno vi obbliga a seguire questi consigli. Ma il mio è un metodo dermatologicamente testato (su di me), e posso garantirvi che è un compromesso accettabile tra correzione abbondante ma allo stesso tempo limitata. Se volete fare più o meno stesure, liberissimi di farlo: ormai dovreste sapere che quando si scrive non ci sono mai regole fisse. Ma state attenti ad evitare il circolo vizioso! 

Infine, parliamo di quando attuare quelle correzioni che vanno a modificare la trama. La risposta è una: quando volete voi. Ciò significa seguire la prima regola dello scrittore: il vostro lavoro deve piacere innanzitutto a voi! Non dovete mai seguire un ipotetico pubblico, altrimenti farete qualcosa che non vi piace e che sicuramente vi verrà male. Seguite i vostri gusti. Se volete modificare un pezzo, bene, fatelo! Altrimenti lasciatelo così, anche se vi sembra non possa piacere a nessun altro. Non seguite le mode. Non seguite l'altra gente. Seguite solo voi stessi, perché solo così potrete fare un bel lavoro e, soprattutto, potrete chiamare vostro quel lavoro. Capito? Niente tentativi di rendere l'opera più commerciale. E' vostra e tale rimane. Solo voi potete decidere, a seconda dei vostri gusti, cosa modificare o meno. Anche perché siete lettori prima che scrittori, quindi è altamente probabile che ciò che piace a voi piaccia ad almeno un altro gruppo di persone.
Insomma, consiglio spassionato: seguite il vostro target.

venerdì 10 febbraio 2012

Lezione 6 - Punteggiatura proibita e "D" eufonica

Ebbene sì, oggi parliamo della punteggiatura proibita. Che cos'è? Semplice: tutti quei segni di interpunzione non graditi, né dai lettori, né tanto meno dalle case editrici.
Prendiamo, ad esempio, i punti di sospensione. Molto di moda, devo dire, e allo stesso tempo tanto sbagliati. Anche io ne faccio uso, lo devo ammettere. Anzi, credo che tutti ne facciano uso, uno sfrenato uso. Non bisognerebbe.
Quando siete alla fase di correzione di un testo, ogni volta che incontrate i punti si sospensione, chiedetevi se davvero servono. Se il discorso sta in piedi anche con un punto fermo o con un qualsiasi altro segno di interpunzione, allora TOGLIETELI ASSOLUTAMENTE! Non si usano i punti si sospensione, quasi mai. Solo in certe situazioni, quando è assolutamente necessario dare un senso di "non finito" ad un discorso (e ricordiamo che, in questo caso, ne bastano 3, quelli in più non solo sono superflui, ma anche fastidiosi). Altrimenti, via! Non ci vogliono i tre fatidici puntini. Se non ne mettete, insomma, fate un favore a tutti. Ai lettori, perché la lettura si fa più lineare. Alla casa editrice, perché non deve toglierli per voi. A voi stessi, perché la casa editrice prenderà almeno in considerazione il vostro manoscritto.
Altri segni proibiti sono i punti esclamativi e interrogativi, se ripetuti. Evitateli direttamente: ne basta uno, sul serio, perlomeno nel manoscritto che volete pubblicare. E lo stesso valga anche per i punti esclamativi insieme agli interrogativi: se li avete usati, pensate bene se preferite che quella frase sia interrogativa o esclamativa e scegliete solo uno dei due simboli. Un manoscritto che li porta entrambi è in grado di farsi letteralmente odiare dagli editori e dai lettori.
Infine, parliamo della "D" eufonica. Non volevo dedicare un articolo intero solo a lei e, sinceramente, credo che anche se non si tratta di un simbolo di punteggiatura possa rientrare nel discorso dei simboli proibiti. 
Innanzitutto, cos'è la "D" eufonica? E' quella "D" che si mette attaccata alle congiunzioni "e" per farla diventare "ed" e "o" perché divenga "od", oppure alla preposizione "a" per farla diventare "ad".
Ecco. A quanto pare, gli editori non gradiscono molto la "D" eufonica. La considerano qualcosa di antico, che mano a mano sta scomparendo dal linguaggio comune. Forse anche a buon diritto.
Quindi sarebbe meglio, anche in questo caso, evitare la "D" eufonica. Attenzione, però, non sempre! Ci sono occasioni in cui diventa necessario utilizzarla, per esempio quando la lettera con cui inizia la parola che segue è la stessa della congiunzione/preposizione. Per esempio: è meglio scrivere "ad Alberto" che "a Alberto". Ma, allo stesso tempo, è meglio scrivere "e Alberto" al posto di "ed Alberto".
Insomma, anche se la regola vorrebbe la "D" eufonica ogni volta che la parola che segue inizia per vocale, voi usatela solo quando avete la stessa vocale della congiunzione o della preposizione (o quando sarebbe proprio uno scioglilingua non usarla). Ancora qualche esempio, per non essere fraintesa:

  • si scrive "e andarono" non "ed andarono"
  • si scrive "ed educarono" e non "e educarono"
  • si scrive "o Erica" non "od Erica"
  • si scrive "od Oriana" non "o Oriana"

Ovviamente mi discolpo: so che questa non è propriamente la grammatica (ambasciator non porta pena, risparmiatemi!). Ma in effetti è vero, si sta perdendo l'uso della "D" eufonica, soprattutto nella lingua parlata. E le case editrici vogliono raggiungere un pubblico più esteso possibile; sì, anche utilizzando questi metodi. Quindi a vostra discrezione l'uso di questa "D", a vostro piacimento. Sappiate solo che spesso non piace.

martedì 7 febbraio 2012

Aggiornamento - "Contact Me" e "Siti Associati"!!!

Salve a tutti, amici!
In primo luogo, vi devo informare che nel pannello di destra, in fondo, ho inserito i link ad un paio di siti/forum/blog ocomesichiamano ai quali partecipo. Quindi se siete interessati alla politica, vi invito a fare un salto su Calcydros, un blog in Wordpress amministrato dal papi di Arte. Sì, proprio lui: colui che ha dato vita alla mia suprema bellezza. Se, invece, vi piacciono i libri di Licia Troisi, o siete anche solo interessati al fantasy in generale, passate su Lands and Dragons. Là troverete me e tante altre persone interessanti, parola di Arte!

Ma pensate che dopo questo io mi sia ritirata a leccarmi le ferite? Nient'affatto! Stavolta ho voluto superarmi.
Quindi sì, l'ho fatto: ho inserito il bottone "Contact Me"!!! Lo trovate nel pannello di sinistra, sotto la mia descrizione. Forza, ammettetelo: quant'è carino? Eheh... ho dovuto fare i salti mortali per capire come metterlo, in quanto inguaribile utonta del web, ma ne è valsa la pena! E pensate, l'ho fatto così bene che non dovete neppure uscire dal blog per scrivermi: vi si aprirà una finestrella in cui potete inserire il vostro messaggio direttamente, senza passare per siti astrusi o caselle di posta indemoniate!
Ora, per quelli di voi che sanno come funzionano queste cose da nerd... beh, sembrerà un'idiozia. Ma per me è il raggiungimento di una gran meta. Infatti quel bottoncino starà per sempre lì, a ricordarmi che in fondo non sono poi così impedita.


Tutto questo per dirvi: sì, ora mi aspetto le congratulazioni. DA TUTTI VOI!!!!!
Ahahahahah!

lunedì 30 gennaio 2012

Lezione 5 - Le regole redazionali

Dunque, dopo immenso ritardo dovuto a fatti personali che non ho né la voglia né l'intenzione di raccontarvi (eheh, ovviamente scherzo), finalmente ho il tempo di aggiornare il blog con la lezione promessa tempo fa a proposito delle regole redazionali.
Innanzitutto, cosa si intende con regole redazionali? Ebbene, si intende tutto ciò che, anche graficamente e non solo grammaticalmente, si può o non si può scrivere. Ma andiamo per ordine: iniziamo con la grammatica. Ecco un piccolo elenco che può aiutare a ricordarsi come scrivere certe parole:

  • Sulle parole perché, finché, poiché, alcunché, benché, sé (es.: sé stesso), (es.: né l'uno né l'altro), poté, combatté e trentatré l'accento è acuto. E' errore scriverlo in modo diverso. Sulle parole come cioè, tè, è, caffè, piè, ahimè, Mosè, invece, l'accento è grave.  
  • L'accento si usa su (giorno), lì, là, dà (III persona del verbo dare) e (affermazione).
  • La parola E' va scritta con l'accento grave, non con l'apostrofo (io lo faccio perché qui sul blog non ho altro modo)
  • L'accento tonico non si indica mai, a meno che non sia di fondamentale importanza per comprendere il significato di una certa parola, ad esempio con princìpi e prìncipi. 
  • L'apostrofo, invece, si usa solo con da' (imperativo di dare), di' (imperativo di dire), fa' (imperativo di fare), to' (imperativo di tenere), va' (imperativo di andare), po' (abbreviazione di poco) e mo' (abbreviazione di modo). L'apostrofo, inoltre, si mette davanti alle abbreviazioni delle date, per esempio '800 per dire 1800. Importante: tal e qual non si apostrofano mai! (quindi si scrive qual è, tal è). 
  • Va' sempre mantenuta la concordanza soggetto-verbo, cosa che, purtroppo, al giorno d'oggi sembra essere molto difficile da fare. Per esempio, con "un migliaio di persone", il soggetto è "migliaio", non "persone"!!! Quindi si scrive "Un migliaio di persone è uscito da quel locale", e non "Un migliaio di persone sono uscite da quel locale". Chiaro? 
  • Nella lingua italiana i termini stranieri non hanno plurale. Quindi si dice "i film", non "i films".
  • L'unica parola con la doppia Q è soqquadro. Tutti i derivati di acqua presentano il CQ e tutti i derivati di scienza il SCIE. 
  • Errore molto comune da evitare: avessi è diverso da avesti!!! Il primo è condizionale (se lo avessi potrei fare qualsiasi cosa/se lo avessi potresti fare qualsiasi cosa), mentre il secondo è un passato remoto, ed è solo alla II persona singolare (tu lo avesti, fosti in grado di fare qualsiasi cosa).
  • Non si mette mai, e sottolineo mai, la virgola tra soggetto e verbo (es.: il puffo, è un gelato)
  • Infine, cosa che a volte mi viene contestata ma per la quale continuerò a battermi con le unghie e con i denti: la H iniziale, in italiano, è muta. E quindi sì, ci vuole l'apostrofo come se fosse una vocale. Quindi sarebbe corretto L'Hobbit e non Lo Hobbit, a meno che non vogliamo concedere una licenza poetica. 

Ecco qui, speriamo che questo specchietto possa servirvi. A me serve, per esempio. Spesso può capitare di avere dubbi. Venire a consultarlo non vuole affatto dire non sapere l'italiano, vuol dire semplicemente che non apriamo un libro di grammatica da un po' e che quindi abbiamo bisogno di una ripassata.
Ora, invece, precipitevolissimevolmente (non chiedetemi da dove mi sia uscito questo avverbio) e senza ulteriori indugi, andiamo a vedere le regole redazionali grafiche. Vi ricordo che alcune preferenze sono sempre a discrezione della casa editrice, ma, di norma, queste regole sono riconosciute.

  • i discorsi diretti si scrivono tra virgolette caporali, ovvero quelle basse << e >> . In alternativa, si possono usare anche i trattini - (lunghi o medi, quelli corti solo per giustificare).
  • i pensieri o le citazioni all'interno di discorsi diretti si scrivono tra apici " e "
  • sempre tra apici vanno le parole che esprimono ironia (es.: quei "poveri" canadesi), le parole che esprimono un'idea particolare (es.: filosofia del "bello"), le parole riportate direttamente da un testo, le parole cui vogliamo dare enfasi, che si possono scrivere anche in corsivo.
  • il grassetto non si usa mai!
  • il corsivo si usa per dare enfasi a una parola, esprimere un pensiero al posto di usare gli apici, i titoli dei libri, volendo anche le parole straniere.
  • qualsiasi segno di interpunzione, salvo le parentesi, è attaccato alla parola che precede, ma staccato con una spazio da quella che segue (es.: io, robot)
  • non si usa il punto fermo alla fine dei titoli
  • l'iniziale maiuscola si usa ogni volta dopo un punto fermo, con i nomi propri (mai con i nomi comuni), con gli acrostici.
  • i numeri, solitamente, vanno scritti in lettere, a meno che non si tratti di date. Usano i numeri romani solo i secoli, i nomi dei papi ecc.  

Finito. Ribadisco che non sono regole da seguire tassativamente (io per esempio nei discorsi diretti utilizzo gli apici e non le caporali). Però ad un editore può far piacere ricevere un testo che segue già le sue regole redazionali. Quindi, ad esempio, se inviate a Feltrinelli e vi accorgete che spesso usa i trattini per i discorsi diretti, usateli anche voi. Non vi costa nulla, potete anche cambiarli con un solo gesto utilizzando su word "trova e sostituisci", come penso anche su tutti gli altri editor di testo.
Arrivederci a tutti, ci vediamo al prossimo post! 

giovedì 19 gennaio 2012

Le papere di Bath

Sicuramente è capitato a tutti... di vedere le papere di Bath, intendo? O di essere una papera di Bath? No, no, per carità... volevo dire, sicuramente vi è capitato, almeno una volta nella vita, di trovarvi in uno stato di limitatissime capacità intellettive, oserei dire in stato vegetativo; e, proprio in quel momento, di sentire le porte del vostro cervello aprirsi, illuminando e rinfrescando mente e animo della risoluzione a tutti i vostri problemi. E sicuramente vi sarete sentiti degli emeriti imbecilli: come aveva fatto una soluzione tanto semplice a sfuggirvi per così tanto tempo? E, soprattutto, come ha fatto a venirvi in mente proprio in un momento di tale degrado cerebrale? Evidentemente l'unico neurone che lavorava, lavorava bene. Almeno lui.
Ebbene, questo mi è capitato due anni fa, a Bath, appunto, ridente cittadina inglese, a poche centinaia di chilometri da Londra. Intendiamoci, mi era capitato altre volte; ma mai in maniera così improvvisa, e mai in una situazione così... non saprei come altro definirla, se non assurda.
Ebbene, dicevo, mi trovavo in Bath. Luglio. Giornata soleggiata, stranamente, anche se tirava una brezza un po' troppo eccessiva, fastidiosa... più o meno della temperatura da cui si viene investiti quando si apre il frigorifero. A Luglio. Già. Ma almeno non pioveva.
Me ne stavo tranquillamente seduta su una panchina, di fronte al laghetto, quello al centro dell'enorme terreno posseduto dalla University of Bath. Ero con due mie amiche, si era appena finito di discorrere di letteratura, filosofia, scrittura. Almeno una decina di minuti prima, però, il discorso era deviato in tutt'altro, facendosi anche decisamente meno acculturato. E, parlando, guardavo le papere nel laghetto.
Un momento di silenzio. Cervello in panne. Le palle degli occhi seguivano ancora le papere, sì, ma giusto per inerzia, senza un reale controllo. E in quel momento, BANG. E' stato come se mi avessero infilato il cervello in quell'istante, premendo il tasto "on". Tutto è apparso così, all'improvviso: il finale e il titolo del mio libro. Cose a cui pensavo da mesi, se non anni. Ed era tutto così mortalmente semplice che la prima cosa che mi sono chiesta è stata appunto: "ma come accidenti ho fatto a non pensarci prima?"
Sì, proprio come in quei film Americani in cui il protagonista, invischiato in un problema di sicurezza nazionale/mondiale/universale,  verso i 3/4 della pellicola ha il grande colpo di genio, che poi risolverà tutto il problema.
L'unica differenza è che in quei film di solito è qualcun'altro che dà l'idea al protagonista. Magari un interlocutore che, per caso, pronuncia proprio la parola che serviva, sentendosi poi dire, apparentemente senza motivo, "sei un fottutissimo genio!" dal protagonista stesso; il quale parte di corsa a preparare chissà quale congegno salva-umanità, mentre lo sventurato interlocutore chiede spiegazioni, invano.
Io, invece, ho avuto l'ispirazione dell'ultimo minuto da delle papere, intente semplicemente a starnazzare e ad abbuffarsi senza pudore del pane buttatogli in acqua da qualche misericordiosa signora d'alta classe inglese.
Dopo un primo momento di inquietudine, in cui ero semplicemente intenta a chiedermi cosa avessero quelle papere di così magico, ovviamente mi sono messa a scrivere su tutto ciò che mi capitava a tiro, persino i palmi delle mani. E tutto così velocemente, nella paura di avere un improvviso colpo di amnesia che mi portasse via l'idea, così come era venuta, da mandare quasi in cancrena le dita, e da farmi riaffiorare il callo del liceale, ormai assopito da quasi due mesi, in meno di 5 minuti.
Quanto ho ringraziato quelle papere! Avrei voluto raccoglierle tutte, grandi e piccine, metterle in valigia e portarle a casa. Tutto ciò che mi ha fermato, ve lo giuro, è stato il pensiero che si sarebbero trovate male da me, non conoscendo la lingua Italiana ed essendo io poco in vena di preparare il tè tutte le sere.

Ecco dimostrato, quindi, come l'ispirazione segua strade all'uomo del tutto sconosciute e imprevedibili. E come anche le papere, nel loro piccolo, siano esseri incredibilmente utili.